UN SANTUARIO PER SAN GIUSEPPE

03.04.2014 13:29

Nel 1902, veniva pubblicato il primo numero del periodico “La voce di san Giuseppe”, con l’intento di promuovere la costruzione di un santuario a san Giuseppe nel novello comune a lui intitolato di S. Giuseppe Vesuviano, a poco più di 20 chilometri da Napoli, in un luogo che quindi viene a trovarsi giusto in mezzo a due importanti santuari mariani dell’area vesuviana: quello di Pompei a sud e quello della Madonna dell’Arco a nord. Lo Sposo di Maria è dunque comodamente raggiungibile – ad appena una decina di chilometri – dall’uno e dall’altro. Se il santuario dello Sposo non ha raggiunto la celebrità di quelli della Sposa, non ci meravigliamo dato che è naturale che Giuseppe sia all’ombra di Maria. Diciamo che è già un “miracolo” che sia stato edificato, con un’arditezza architettonica che ancora sorprende chi ne osserva la cupola, la facciata e l’altare maggiore. Sono infatti questi i suoi tre gioielli. La cupola viene realizzata nel 1908; imponente e slanciata, con un tamburo di 10 metri di diametro e una calotta ricoperta di rame che si eleva con la croce a 50 metri d’altezza, domina il panorama vesuviano a oriente del Monte Somma. La facciata, completata nel 1926, si presenta maestosa con le sue colonne di granito e i blocchi di travertino; bianca e monumentale, in stile neoclassico rinascimentale, è impreziosita dal gruppo marmoreo centrale delle nozze tra Maria e Giuseppe, ed è sormontata da una balaustra con una serie di statue al cui culmine svetta quella del Patrono, Custode del Redentore. L’altare maggiore viene dedicato nel 1955; elegante nella sua varietà di marmi e di rivestimenti in mosaico, è a gradi ascendenti con il tabernacolo al centro, e funge da base al trono che accoglie la statua del Patrono, ottima fattura del verismo napoletano di fine Ottocento, che presenta san Giuseppe che viene incontro al suo popolo, portando in braccio Gesù che a lui si rivolge con gesto affettuoso. Nel panorama dei santuari giuseppini nel mondo, quello di S. Giuseppe Vesuviano viene ad occupare a buon diritto un posto di rilievo.

 

La sua storia comincia un po’ più da lontano, da quando nel 1622 si pensa di edificare in quel luogo, ancora aperta campagna e quasi disabitato, una chiesetta in onore di san Giuseppe. Viene poi tramandato come un prodigio il fatto che nel 1675  una statua del nostro santo che di passaggio sta per essere portata a un paese vicino vi trova scampo e stabile dimora a causa di acquazzoni a più riprese. Nel corso del Settecento la chiesa è abbellita ed ampliata, ma a fine Ottocento esige che ci si rimetta mano. E’ il tempo della costituzione del Comune e del suo avvio ad un promettente sviluppo demografico e commerciale. E’ il tempo in cui si sente chiamato alla sua missione un giovane sacerdote sangiuseppese, don Giuseppe Ambrosio (1871-1957), chiamato familiarmente in napoletano “don Peppino”. Nel 1896 si era posta la prima pietra, ma solo col suo intervento tre anni dopo il progetto si sblocca e si chiarisce: non si tratta solo di una ricostruzione della chiesa, ma di un vero e proprio santuario da innalzare in più ampie dimensioni. Nel 1902, alla pubblicazione della “Voce di san Giuseppe”, c’è già chi racconta la storia dei primi tempi, della buona notizia che si diffonde sulla devozione in sviluppo e sul tempio in costruzione:  “Col diffondersi delle grazie maggiormente si diffondeva il culto al santo patriarca e, come segno di gratitudine e devozione, incominciarono a pervenire d’ogni parte offerte in favore della nuova chiesa. Tale gara di entusiastico incoraggiamento fece sorgere la speranza che l’opera in costruzione potesse diventare benissimo un grande santuario mondiale”.

L’entusiasmo dell’esordio e i migliori auspici della fondazione saranno messi a dura prova e la fatica di portare avanti l’opera si rivelerà molto più lunga e pesante di quanto si immaginasse. Una prima battuta d’arresto si ha con l’eruzione del Vesuvio nel 1906: crolla il tetto dell’adiacente cappella dello Spirito Santo, seppellendo oltre cento persone; insieme ai superstiti, a stento si salva la statua del Patrono. Molti si scoraggiano, ma per don Peppino è il momento di fare un voto: avendo avuto salva la vita, la deve ora donare senza risparmio. Si fa “apostolo di san Giuseppe” non solo a Napoli e in Campania, ma per tutta l’Italia: Roma, Firenze, Assisi, Ferrara, Venezia, Gorizia, Trieste, Loreto, Foggia, sono le tappe del suo primo itinerario. Pensa che come a Pompei, anche a S. Giuseppe l’opera deve avere il timbro della carità: sistemato il tetto del santuario, c’è da offrire un tetto a chi non ce l’ha. Il Bimbo che il Patrono protegge è l’immagine dell’amore e della protezione da offrire ai più piccoli e bisognosi: nel 1909 sono accolti 19 orfanelli a causa del terremoto che colpisce Reggio Calabria e Messina. E’ il momento in cui si infittisce il rapporto con Bartolo Longo, che interviene all’inaugurazione. Anche il papa Pio X è incontrato personalmente da don Peppino e contribuisce all’opera intrapresa. La fama cresce e il nome di S. Giuseppe Vesuviano e del suo santuario diventa noto anche all’estero. Con una fede e una tenacia straordinaria, continuano i viaggi del pellegrino per l’America (Stati Uniti, Brasile, Uruguay, Argentina…) e in Europa (Francia, Austria, Germania…). Questi viaggi anche lunghi diventano possibili grazie alla presenza dei Giuseppini del Murialdo a S. Giuseppe Vesuviano, che si fanno carico dell’attività pastorale a cominciare dal 1928. Nel 1935 don Peppino dona anche il palazzo di famiglia per riconvertirlo in casa di riposo per gli anziani. Durante la guerra, nel 1943 la storia del santuario è fecondata dal martirio del parroco p. Gino Ceschelli, ucciso dai nazisti. Nel 1954 il vecchio ospizio per gli orfani è completato e viene aperto come seminario minore. Finalmente negli anni ’80 si passa alla decorazione dell’interno e alle pitture parietali, opera importante di Pietro Favaro, della scuola Reffo di Torino: sono particolarmente da ammirare i due grandi affreschi del transetto che rappresentano lo sposalizio e la morte di san Giuseppe.

 

Oggi il santuario rimane un po’ stretto tra la pastorale parrocchiale e quella del centro giovanile, ma merita comunque di essere visitato e sostenuto dai fedeli che non si dimenticano dello Sposo di Maria, Patrono della Chiesa nel mondo.

 

Angelo Catapano